Dalla Sardegna alla Coppa degli Emirati Arabi

Attenzione ragazzi che lavorando sulle ripetute in salita può essere che abbiate nausea. A qualcuno potrà capitare anche di vomitare”!

Cosa vomitiamo Mister, che non mangiamo niente da due giorni“?

Questa la risposta che si è sentito dire Roberto Brandino durante una delle sue sedute d’allenamento in preparazione alla partecipazione alla Coppa degli Emirati Arabi. L’esperienza di Roberto è infatti particolare: nel 2018 è stato selezionatore ed allenatore di una squadra composta da giocatori africani impegnata nel campionato nazionale dilettanti negli Emirati.

Roberto, raccontaci un po’ di te

Sono del ’67, originario di Tertenia in Ogliastra, in Sardegna.

Ho iniziato ad allenare dal basso, dai dilettanti, sull’isola. Cercando nel frattempo di studiare e formarmi il più possibile. Negli anni ho frequentato i diversi corsi per allenatore dilettante. Ho operato anche nello scouting, facendo da osservatore per Empoli e Genoa. L’ apice fino a questo momento, della mia carriera è stato nel 2010 dove mi sono accasato alla Villacidrese, società sarda che negli anni a cavallo del decennio ha disputato anche qualche annata nei professionisti, in Serie C. Lì ho allenato Juniores Nazionali, Allievi Nazionali e Berretti.

Nel 2011 ho ottenuto l’abilitazione a frequentare il corso UEFA A, grazie alla possibilità per le società di Serie C di segnalare un proprio tecnico da “patentare”. Un’ esperienza bellissima, oltre che estremamente formativa, dove ho avuto modo di conoscere diversi allenatori professionisti di alto livello con i quali sono rimasto tuttora in contatto.

Poi cosa succede?

Succede che a volte la vita ti presenta una sfida. Nel 2013 ho un infarto, vengo operato, i medici mi tirano letteralmente per la pelle, salvandomi quasi per miracolo. Sono costretto però a fermarmi rimanendo ai box.

Continuo tuttavia ad inseguire questa mia passione, questo mio amore per l’attività di allenatore. Soprattutto mi intriga sempre di più l’estero. La mia grande passione oltre al calcio sono le lingue. Parlo bene inglese, francese e spagnolo.

I medici col tempo mi danno l’ok per tornare sul campo e nel 2018 arriva un’opportunità per un’esperienza all’estero, negli Emirati Arabi, a Dubai.

Di cosa si tratta l’incarico?

L’incarico che mi viene proposto è particolare. Dei manager locali stanno imbastendo una squadra formata da una selezione di giocatori africani, provenienti da 8-9 paesi (dalla Burkina Faso alla Nigeria, dal Camerun al Ciad). Il team è il KDFC (Konviction Dream Football Club). Il club è iscritto al Campionato Nazionale Dilettanti ed i ragazzi provano a mettersi in mostra, tentando di strappare un contratto da calciatori professionisti nel campionato del paese. Il mio compito è quello di selezionare, formare ed allenare una squadra composta da 20 giocatori provenienti appunto dal continente nero.

Come sei entrato in contatto con la realtà che ti ha ingaggiato?

Nell’estate del 2018 mi contatta tramite internet un manager italiano che conoscevo da tempo, il quale seguiva dei progetti calcistici ed aveva dei contatti negli Emirati Arabi. Nel paese stavano selezionando dei giocatori africani per competere nella Coppa degli Emirati. Il fatto di essere un allenatore italiano, patentato e con un’ottima conoscenza delle lingue mi ha permesso di essere selezionato per diventare l’allenatore di questa realtà.

Com’ era organizzata l’attività?

Il primo mese è stato letteralmente di selezione. Le sedute erano previste praticamente quotidianamente ed il mio compito è stato quello di scegliere tra 200 ragazzi, i 20 che avrebbero formato la squadra.

In questo periodo abbiamo svolto una preparazione sia fisica che, soprattutto tattica, svolgendo amichevoli anche con squadre professionistiche di Prima Divisione.

Dopo questo mese di adattamento abbiamo iniziato l’attività vera e propria togliendoci anche parecchie soddisfazioni, soprattutto nella Coppa degli Emirati (arrivando fino in semifinale).

Svolgevamo 4-5 allenamenti la settimana, giocando le partite di campionato e coppa al venerdì o al sabato.

Com’ è stato l’impatto con Dubai?

L’impatto è stato traumatico, soprattutto per il caldo. Inoltre mi sono affacciato ad una cultura totalmente diversa da quella occidentale. L’alcol è vietato, le donne portano il velo, la giornata stessa è scandita dalla preghiera. Il giorno di festa qui è il venerdì, con la maggior parte delle attività commerciali chiuse.

Inoltre anche dal punto di vista tecnico ho dovuto prestare differenti accorgimenti, in quanto mi relazionavo con ragazzi africani con un background totalmente differente da quello cui ero abituato. Ad esempio mi è capitato che qualche ragazzo mi chiedesse prima della partita di poter pregare. Chiaro che devi adattarti, rispettando le diversità culturali di chi hai davanti.

Quali erano le caratteristiche dei giocatori africani?

I ragazzi erano educati, rispettosi e quasi riverenti nei confronti del sottoscritto, in quanto tecnico italiano.

I giocatori affrontavano lunghi viaggi per poter partecipare alle selezioni, attraversando il deserto, facendo sacrifici incredibili. Un aneddoto: durante il periodo di preparazione organizzo una seduta basata sullo sviluppo della forza utilizzando delle salite. Mentre spiego l’esercitazione metto in guardia i ragazzi sulla difficoltà metabolica della richiesta. Li avviso che ho avuto esperienze in passato di ragazzi che avevano addirittura vomitato per questo. Loro seriamente mi guardano e mi dicono: “Mister, è due giorni che non mangiamo, non abbiamo niente da vomitare”. Questo per rendere l’idea della forza di volontà che avevano questi ragazzi. Ai giocatori scelti veniva poi offerto vitto ed alloggio, oltre che una reale possibilità di ottenere un contratto da professionista.

I giocatori africani hanno chiaramente doti atletiche ed organiche importanti, il lavoro principale è stato quindi tattico, cercando di rendere organizzata e disciplinata la squadra. Sul campo con loro utilizzavo soprattutto il francese e l’inglese, mentre nella vita di tutti giorni adoperavo l’inglese.

Come viene visto l’allenatore italiano?

L’allenatore italiano viene visto molto bene. Ad ogni fine allenamento i ragazzi venivano spesso a ringraziarmi ed a congratularsi con me per le nozioni ricevute. Per loro, determinati allenamenti che proponevo erano “da fantascienza” rispetto alle loro conoscenze precedenti.

Tante persone del luogo mi chiedevano selfie e foto con me. Benchè se ne dica, in giro per il mondo la scuola allenatori italiana viene ancora considerata come una delle migliori, se non la migliore.

Cosa è successo dopo?

Dopo l’esperienza di qualche mese, dove appunto ho selezionato il team e partecipato alla Coppa, ho dovuto riprendere la via di casa per motivi personali.

Il futuro

In futuro vorrei rimettermi in gioco all’estero. Qualcosa si sta muovendo in tal senso. Il mio sogno sarebbe quello di allenare una nazionale giovanile in qualche paese africano. Anche in Indonesia sembra ci possano essere delle opportunità. Attualmente devo risolvere delle “grane” a livello privato e personale, ma non appena arriverà il momento giusto sarò pronto ad affrontare nuove sfide.

É uscito il mio libro “L’allenatore nel dragone”

Dedicato ai viaggiatori, agli allenatori, ai curiosi: come si vive e si allena in Cina?

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