Dal 2007 in giro per il mondo, sempre ad alti livelli. Lituania, Malesia, Indonesia, e poi Oman, Arabia Saudita, Bangladesh, fino ad arrivare alla guida del Thanh Hóa, nella Vietnam Super League.
Esperienze, sfide, altissima professionalità, con una grande conoscenza dell’animo umano e della passione che lo spinge ad inseguire un pallone, trascendendo culture, paesi, mentalità.
Fabio Lopez è il primo allenatore italiano ad allenare in Vietnam e Viaggio Calcistico non poteva non contattarlo.
L’Italia esporta, e bene, chi ama insegnare calcio.
Mister, proviamo a ripercorrere le tappe della tua carriera?
Ho la valigia in mano dal 2007. La mia prima esperienza all’estero è stata in Lituania, dove ho lavorato due anni, al Banga Gargždai ed al Šiauliai. In seguito ho allenato nel sud-est asiatico, prima al Sabah, nella Malaysia Super League e poi al PSMS Medan in Indonesia.
Poi Maldive e nel 2015 CT della nazionale del Bangladesh per quattro mesi durante le qualificazioni al Mondiale del 2018.
Poi Serie A dell’Oman all’Al-Oruba e Al-Ahli in Arabia Saudita. I due anni a Gedda sono stati un’esperienza di vita incredibile, ed anche professionalmente è stato il paese dove probabilmente ho lavorato meglio
Infine Borneo di nuovo in Indonesia, fino ad approdare all’esperienza attuale, al Than Hoa in Vietnam.

Che allenatore è Fabio Lopez?
Vuoi che ti dica la verità dopo un decennio nel calcio professionistico?
Il calcio è più facile di quanto si possa pensare, non è una scienza, i veri protagonisti sono i giocatori, senza quelli di qualità fai fatica a vincere. Negli anni è chiaro, ho portato avanti le mie idee basate su organizzazione, principi di gioco, attenzione alla tattica collettiva e a quella individuale. Cerco di curare i dettagli, la preparazione delle gare, lo studio degli avversari. Ma alla fine quello che fa veramente la differenza è l’aspetto umano, il rapporto con i giocatori, la psicologia, le motivazioni. E poi la lettura della gara. L’allenatore vincente secondo me lo vedi da queste cose.
Ed a certi livelli subentra inoltre l’aspetto diciamo manageriale e gestionale: il rapporto con la società, con media e tifosi, la supervisione del calcio mercato.
Parliamo di numeri…
Se vogliamo parlare di numeri potrei dire che la mia squadra gioca un 4-3-3 che talvolta può invertire il vertice di centrocampo trasformandosi in un 4-2-3-1.
Il complimento più grande me lo ha fatto recentemente un giornalista locale scrivendo che faticava a capire il nostro modulo di gioco. Al giorno d’oggi credo sia riduttivo parlare di moduli. I giocatori devono lavorare per principi, per riconoscimento delle situazioni. Gli spazi da attaccare condizionano il comportamento e le scelte dei giocatori in campo. Parliamo di attitudini più che di ruoli.

In che modo ti relazioni ai giocatori?
Cerco di essere il più possibile vero, trasparente, me stesso.
Mi ritengo una persona onesta, e su questo valore cerco di impostare il rapporto con i ragazzi.
Serve profonda sensibilità: capire quando è il momento di parlare ad un giocatore, quando e come farlo in privato o davanti al gruppo. I giocatori al giorno d’oggi sono diversi rispetto a vent’anni fa. Sono persone intelligenti, con buona cultura e conoscenze elevate, non solo calcistiche.
In generale ho sempre avuto rapporti bellissimi con giocatori e staff.
Non racconto favole nel rapporto personale con loro e questo mi ha spesso portato ad essere apprezzato per onestà intellettuale.
Come allenare in Cina?
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Come si gestiscono i giocatori vietnamiti?
Anche qui vi sono gli idoli locali, talenti con un appeal mediatico e di considerazione importante da parte di stampa e tifosi. E chiaramente diventa fondamentale la relazione con queste personalità.
Un esempio? In rosa ho un giocatore importante, di esperienza, un ex-nazionale, per la considerazione che hanno i tifosi vietnamiti di lui mi esce il paragone di Totti per i romanisti. È un talento, ma da gestire, non può più pensare di poter giocare da titolare tutte le partite di campionato. Ecco che con lui serve un rapporto particolare, occorre fargli capire che in certe situazioni ci sta che si metta a disposizione e per il bene del gruppo accetti anche la panchina. Come vedi certe dinamiche sono uguali in ogni parte del mondo.
Ripeto, cerco di essere trasparente. In questo momento un tuo compagno nel tuo stesso ruolo è più pronto? Credo sia giusto essere corretti ed onesti dicendoti la verità. Alla lunga per la mia esperienza personale questo paga in ogni parte del mondo e in contesti diversi.
Qual’ è il livello delle conoscenze tattiche dei giocatori all’estero?
Ma ti dirò che in giro per il mondo l’attenzione che danno mediamente i mister ed i giocatori italiani ad aspetti come la postura del corpo, come devo scappare, come attacco la palla non trova eguali in nessun altro campionato. Se prendiamo la stessa Premier League si gioca un calcio diverso.
Ma in giro per il mondo c’è una passione, delle conoscenze ed una qualità che spesso dall’Italia non ci rendiamo conto. Guardiamo anche alle recenti Coppe del Mondo: nazionali blasonate e storiche fanno sempre più fatica anche con realtà emergenti. Non è un caso. Il livello del calcio mondiale si sta sempre più livellando.
Perché? Perché ripeto, anche fuori dall’Europa trovi grande professionalità, strutture, passione e qualità.
In cosa mancano i giocatori? Mancano tanto nella tattica collettiva, quello si. Ma è così in tutto il mondo. In questo senso, soprattutto all’inizio, nell’approccio con una squadra nuova cerco di trasmettere competenze e conoscenze spiegando il motivo di certi comportamenti. Quando la soglia di attenzione è altissima, in pre-season. Questo lavoro porta sicuramente dei vantaggi, soprattutto per quel che riguarda la fase di non possesso palla.

Com’ è organizzata la tua settimana tipo?
L’organizzazione tecnico/tattica non si discosta molto dalla settimana classica. Quello che condiziona il mio lavoro ricade ancora una volta nella sfera psicologica. Affrontare una nuova settimana arrivando da una importante vittoria è diverso che arrivarci da una sconfitta.
Alla ripresa dell’attività, nell’analizzare la gara con la squadra, se hai vinto magari sottolinei maggiormente gli errori. Se hai perso cerco di metterci maggiore, diciamo, sensibilità. Magari si, analizzando le 2-3 cose che non sono andate su cui magari stavi insistendo da settimane, ma anche mostrando le cose buone che sono state fatte dai ragazzi.
Svolgiamo poi solitamente uno o due doppi allenamenti durante la settimana, ed al mercoledì spesso inizio già a mostrare delle cose per la domenica, magari alcune caratteristiche individuali degli avversari. Dal giovedì si entra più nel dettaglio, andando a studiare come gli avversari ti pressano, come attaccano, dove concedono spazi.
Com’è la pressione di tifosi, stampa e società?
Nonostante una passione pazzesca l’ambiente ha anche l’intelligenza di fare un’analisi oggettiva delle prestazioni, indipendentemente dal risultato. Nelle prime due gare ad esempio, prima dello stop per il coronavirus, abbiamo fatto due ottime prestazioni. Con un IPO altissimo (indice di pericolosità offensiva), pali, traverse, occasioni clamorose. Statisticamente abbiamo fatto bene ma raccolto zero punti. Nonostante questo il clima nei nostri confronti è positivo, ci lasciano lavorare bene.

A proposito di stampa e tifosi, com’è il seguito della Vietnam Super League?
Vanno pazzi per il calcio. Anche qui hanno i “loro” Buffon, i loro Del Piero, i loro Totti. I giocatori della massima serie sono conosciuti, hanno visibilità, vanno in televisione, hanno grande appeal a livello mediatico.
Mister, concludiamo con qualche cartolina dai paesi in cui hai allenato?
Da buon cittadino del mondo conservo ricordi meravigliosi di tutti i luoghi in cui ho viaggiato allenando. Malesia ed Indonesia sono due paesi per certi versi simili, bellissimi. Con una mentalità ed una cultura non semplici ad un primo approccio. Nei paesi arabi sono stato bene, soprattutto in Arabia saudita. Spesso i giocatori pregavano in spogliatoio prima delle gare, ma avevano un grandissimo rispetto verso le altre culture e religioni.
In Bangladesh allenare la nazionale mi ha dato una carica fortissima. È incredibile la sensazione che ti da poter rappresentare un paese intero.
E poi il Vietnam. Il paese è bellissimo, con condizioni di vita molto buone.
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