Come diventare un professionista allenando in un’academy in India

La lussureggiante India con la sua storia plurimillenaria è teatro di storie e leggende che ridondano fino ai giorni nostri, ispirando e affascinando viaggiatori e curiosi. Una tradizione secolare, di un paese esotico e misterioso. Negli ultimi anni l’India si è vista travolgere da una crescita economica repentina, che probabilmente ha creato dei paradossi importanti da un punto di vista socioculturale.


Di pari passo con il cambiamento parziale della società, si sta affermando anche il calcio, che sta
prendendo piede soprattutto nelle giovani generazioni. Vicino alla capitale, Nuova Delhi, in
un’academy del luogo, allena un italiano, Davide Marchini, ventinovenne di Lodi, che dal 2016 lavora come mister professionista allenando giovani talenti indiani. Ci siamo fatti raccontare il suo Viaggio Calcistico.


Davide, come sei diventato allenatore?


Ho giocato a calcio ad un buon livello soprattutto nel settore giovanile, arrivando fino alla Juniores Nazionale del Fanfulla. Poi però nei primi anni nel calcio degli adulti mi sono un po’ perso. La scintilla per diventare allenatore scoppiò già a 18 anni, quando iniziai a “dare una mano” in una società dilettantistica del lodigiano: la Nuova Lodi. Lì mio padre faceva già l’allenatore nel settore giovanile, ed iniziai ad aiutare in società.
Mi appassionai subito al ruolo, tanto che decisi l’anno dopo di iscrivermi all’ Università di Scienze
motorie.
Durante gli studi iniziai a lavorare in alcune scuole elementari di Lodi, focalizzandomi su una fascia d’età relativamente bassa, cercando di capire il bambino.


Come è arrivata la possibilità di allenare da professionista in India?


Ai tempi, dopo la magistrale ero all’ interno di un gruppo WhatsApp di allenatori. Un giorno uno dei mister condivise un annuncio per una possibile esperienza all’estero. Tramite il Paris Saint Germain vi era infatti la possibilità di svolgere uno stage di un anno presso una loro academy in India. Ci provai. Preparai il mio curriculum in inglese e lo inviai . Quello che fece la differenza con il sennò di poi?
Soprattutto la mia esperienza nelle scuole con bambini dai 4 ai 6 anni, fascia d’età che il PSG voleva inserire nel proprio programma. Ed ecco che nel Luglio del 2016 partii per Nuova Dehli. L’academy si trovava a Gurgaon, città di 750 mila abitanti a 15 kilometri da New Delhi.


Come è proseguito il tuo percorso?


Dopo l’anno di stage venni confermato per la stagione successiva. Nel dicembre del 2017 tornai in Italia per conseguire il patentino UEFA B e nel 2018 divenni responsabile tecnico dell’academy, che nel frattempo sie era resa indipendente rispetto alla collaborazione con il Paris Saint Germain, assumendo la denominazione di Sports Roots Academy.


Come è organizzato il club?


Il focus principale dell’academy è di promuovere lo sport del calcio tra i giovani.
Nel club abbiamo 200 ragazzi dagli U4 agli U16 ed utilizziamo tre centri sportivi: a volte affittiamo delle scuole, o talvolta dei semplici appezzamenti di terreno.
Gli allenatori sono indiani, il mio ruolo è quindi quello di organizzare l’attività ed aiutarli nel lavoro, cercando il confronto e la crescita dello staff di lavoro. Qui viviamo tutti di calcio. Ecco che al mattino possiamo programmare le sedute che poi andremo a proporre nel pomeriggio.
I ragazzi svolgono normalmente due allenamenti settimanali, più un giorno di gare al sabato.
In linea di massima il progetto tecnico prevede una forte proposta tecnica per i bambini fino all’U9.
Dagli U11 iniziamo a proporre dei concetti e dei lavori di tattica individuale, mentre dagli U13-U15 il focus inizia ad essere la tattica di reparto e collettiva, con l’insegnamento di alcuni semplici principi di gioco come ampiezza e profondità,senza chiaramente mai dimenticare l’aspetto tecnico e le conoscenze individuali dei ragazzi.

É uscito il mio libro:

L’ALLENATORE NEL DRAGONE: STORIA DI UN ALLENATORE DILETTANTE IN CINA

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Come sono organizzati i campionati?


In India sono pochissime le società che frequentano il campionato organizzato dalla federazione.
Solo il 5% sono infatti registrate per svolgere tale attività. Spesso le partite ed i tornei sono organizzati direttamente dagli allenatori che si conoscono e si coordinano tra loro.


Come hai adattato la tua metodologia al contesto locale?


Di base la mia idea sarebbe stata quella di proporre esercitazioni soprattutto di carattere
situazionale. Ma fin dall’ inizio mi resi conto che qui con questo tipo di approccio fai fatica. A volte mi capitava infatti che qualche bambino durante la gara venisse da me chiedendomi: cosa devo fare? Si tratta di mettersi in discussione, rivalutando il proprio approccio. Ecco che ho cercato quindi di orientarmi verso mezzi allenanti magari più “analitici”, con un contatto costante con la palla. E poi, con tempo e pazienza orientarmi verso piccole situazioni da risolvere, attività ludiche che possano riempire le conoscenze tecnico/tattiche del giocatore.


Com’e il livello dei ragazzi?


Partiamo dal presupposto che la nostra academy come retta annuale è tra le più costose, quindi i nostri ragazzi provengono generalmente da famiglie benestanti. Qualche ragazzo magari è un po’ sbruffoncello, ma nel complesso i ragazzini indiani sono profondamente umili. La filosofia calcistica indiana cerca di mettere al centro delle proposte soprattutto l’aspetto fisico, questo lo noto quando le nostre squadre partecipano ai tornei contro le academy gestite generalmente da indiani. Noi cerchiamo di aggiungere a questo un compromesso tra la tecnica e la tattica.
Per la mia esperienza il problema principale del ragazzino/calciatore medio indiano non è tanto l’aspetto tecnico o coordinativo, quanto semmai la capacità di leggere il gioco, risolvere situazioni, affrontare uno sport così open skills com’è il calcio.


Come ti trovi a vivere in India?


L’India è gigantesca, con una varietà di luoghi, culture, ed ambienti immensi. Per quanto riguarda la mia esperienza Gurgaon è una città piuttosto nuova. Vi sono tante multinazionali, stranieri ed il contesto è occidentalizzato. Certo. Vedi passare il tuk-tuk o il carrettino che trasporta cose e persone, ma nel complesso il mio stile di vita è molto all’ europea. Magari in altri luoghi si respira
maggiormente quella “spiritualità” per cui l’India è famosa, ma non è il caso del contesto in cui vivo.
Una difficoltà? Il caldo, che a volte diventa veramente insopportabile, raggiungendo anche i 45°.


Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?


Il mio obiettivo è quello di continuare a vivere di quello che più amo fare: l’allenatore di calcio. Farlo in Italia un giorno? Magari, sarebbe un sogno… che prima o poi proverò a realizzare.

É uscito il mio libro:

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