Vincere la Champions League d’Asia partendo dai dilettanti: il viaggio dei sogni di Diego Longo

Vincere la Champions League asiatica come assistant coach di Răzvan Lucescu guidando l’Al-Hilal di Giovinco. Sembra fantacalcio invece è quello che è successo a Diego Longo, 15 anni di esperienza internazionale alle spalle, nello staff tecnico della formazione araba dal 2019.

Lo abbiamo contattato per provare a capire “l’effetto che fa” raggiungere, calcisticamente parlando, il tetto d’Asia.

Mister, sei partito dai dilettanti fino ad arrivare a conquistare l’Asia con una squadra di Club…

La mia storia inizia 15 anni fa quando allenavo nel genovese una squadra di Juniores Regionali e contemporaneamente lavoravo nel mondo del fitness per la Virgin, come personal trainer.

La svolta della mia carriera è arrivata tramite un’amico in comune con Lucescu. Răzvan, il figlio di Mircea, era appena approdato al Rapid Bucarest e stava cercando un preparatore atletico. Ci mise in contatto. Tra di noi vi fu subito sintonia e dopo due giorni ero su un volo diretto per la Romania. Ai tempi, mollare tutto ed un lavoro sicuro per trasferirmi nell’ Est Europa, tutti mi diedero del matto, ma ero determinato a far diventare la mia passione un lavoro provando ad affermarmi a certi livelli. In Romania guadagnavo la metà di quello che percepivo in Italia con il mio lavoro, ma volevo provarci. È andata bene. In quella stagione arrivammo ai quarti di finale della Coppa Uefa, vincemmo la Coppa di Romania, arrivammo secondi in campionato. Un impatto positivo. L’inizio di un’avventura che è proseguita fino ai giorni nostri.

Quali sono state le tappe della tua carriera?

In Romania rimanemmo sette anni, arrivando ad allenare anche la Nazionale. Dopo un’esperienza in Qatar nel 2014 il mister venne ingaggiato allo Skoda Xanthi, militante nella Super League Greca.

Nel 2017 ci trasferimmo al PAOK Salonicco dove vincemmo due Coppe di Grecia di fila e lo storico campionato del 2019, da imbattuti, dopo ben 34 anni. A fine stagione il mister venne ingaggiato dal Al-Hilal e lo affiancai anche in questa splendida esperienza.

Quale è stato il tuo percorso formativo?

A livello federale ho conseguito i patentini B, A e PRO, un Master a Lione sulla Preparazione atletica nel calcio ed uno in Psicologia sportiva a Milano. Allenare la Nazionale rumena mi ha inoltre permesso di crescere tantissimo come conoscenze, confrontandomi ad alti livelli internazionali.

Com’ è organizzato il vostro staff e quale è il tuo ruolo?

Lo staff è cresciuto negli anni sia come conoscenze che numericamente. Dall’esperienza in Grecia in poi abbiamo avuto un’evoluzione, con l’inserimento di figure di spessore. Penso a Cristiano Bacci, Matteo Spadafora, Josè Moreira ex portiere del Benfica e con esperienze in Premier League.

Negli anni il mio ruolo si è evoluto. Fino al Qatar facevo il preparatore atletico ed analizzavo i dati, ora affianco da assistente tecnico Răzvan.

Al Al-Hilal da dove è partita l’impresa di vincere la Coppa?

Partiamo da una premessa: l’Al Hilal viene considerata in Asia come una società top. Per gli asiatici è un po’ il Real Madrid d’Asia, in termini di forza societaria e di impatto, di media e di seguito.

La squadra veniva da alcune stagioni in cui arrivava vicinissima alla vittoria finale, non raggiungendola per pochissimo, portandosi dietro una sorta di maledizione. Negli ultimi anni questo gruppo aveva già perso due finali, ma il team era di grandissima qualità.

Mettici i 5-6 giocatori arabi migliori, più stranieri del calibro di Giovinco, Carrillo, Eduardo e Gomis ne esce una squadra estremamente competitiva.

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L’ALLENATORE NEL DRAGONE: STORIA DI UN ALLENATORE DILETTANTE IN CINA

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L’ambiente vi ha messo pressioni particolari?

Il club come detto, a livello mediatico e storico è di primo livello. Le pressioni di tifosi e media erano importanti. E questo si è ripercosso sulla squadra e sui ragazzi in diversi contesti. Ad esempio durante la semi-finale la squadra era mentalmente bloccata, come dovesse sostenere un macigno. Ma quando ci siamo sbloccati abbiamo poi fatto delle grandi prestazioni. La Champion League asiatica ha un seguito fortissimo. Noi europei siamo proiettati ad immaginare solo la nostra Champions League, ma vi assicuro che questa competizione in Asia muove gente, crea atmosfere incredibili, con un interesse enorme.

Come è cambiata la percezione verso di voi?

Chiaramente abbiamo acquisito ulteriore credibilità. Attorno a noi abbiamo percepito maggiore serenità e fiducia da parte di società, media e tifosi.

Come lavora il vostro staff?

L’idea base è di proporre allenamenti funzionali dove la parte atletica è fortemente congiunta con quella tattica. Quindi il mister può lavorare sui principi di gioco in ogni situazione, ottimizzando il lavoro. Pensa che inizialmente in Romania venimmo anche criticati fortemente per questo. Erano abituati a vedere allenarsi la squadra con una forte componente di lavoro atletico, i classici giri di campo per intendersi. Poi come spesso accade i risultati mettono tutti d’accordo e ti fanno guadagnare credibilità.

All’ interno dello staff vi è un confronto continuo. Si studiano assieme spazi e tempi per poter lavorare sui principi di gioco e sulla componente organica.

Inoltre siamo consapevoli dell’importanza della comunicazione: al giorno d’oggi è quello che fa veramente la differenza.

A proposito di comunicazione: come lavorate a livello mentale e psicologico?

La differente cultura e lingua rende la comunicazione non semplice, ma questo è un grande stimolo per noi. Ogni componente dello staff ha un rapporto diverso con ogni giocatore. Cerchiamo di comprendere la psicologia degli atleti da prospettive differenti, trattando ogni ragazzo in maniera differente. Sono convinto che nel calcio di oggi gli aspetti motivazionali siano considerati ancora solo al 5%. Vi è invece un potenziale enorme da sviluppare per indirizzare le energie nei modi corretti.

In che modo vi siete adattati alla mentalità in un contesto del genere?

Qui gli atleti vivono la professionalità in maniera differente a come siamo abituati in Europa. Nelle piccole cose, nell’alimentazione, nelle regole, nella gestione del proprio corpo hanno un’ atteggiamento diciamo più “libertino”. In questo senso il Mister è stato bravo ad adattarsi al contesto ed alla cultura, concedendo il giusto e trovando un compromesso che alla lunga ha premiato nella gestione del gruppo.

La squadra era composto da professionisti veri, che sapevano comunque gestirsi per offrire le giuste prestazioni.

15 anni fa allenavi i ragazzi nei dilettanti… ti guardi indietro e ripensi…

Penso che mia moglie sia stata molto paziente con me (e ride…)

Apparte gli scherzi, è stata un’avventura, un vero e proprio viaggio. Pensa che ho cambiato 18 appartamenti in 15 anni, allenando in 4 paesi diversi. Ma sono stati anni di grandi soddisfazioni e sfide. Ripenso ancora ai quarti di finale della Coppa Uefa nel 2006 contro lo Stoccarda di Trapattoni. Qualche mese prima allenavo i ragazzi, e mi ritrovai ad incontrare un guru come lui, un signore.

Essere partito dai dilettanti è stata una leva più che una limitazione. Mi ha costantemente dato la carica e la responsabilità di dare sempre quel qualcosina in più. Sono conscio che oltre alle conoscenze serva anche la giusta occasione, ed un briciolo di fortuna. Nei dilettanti avevo un sacco di amici allenatori preparatissimi, che potrebbero lavorare tranquillamente nei professionisti. Ma semplicemente non hanno avuto l’occasione giusta al momento giusto. Sono conscio di questo ed allora cerco di lavorare ogni giorno al massimo, consapevole del privilegio che ho.

É uscito il mio libro:

L’ALLENATORE NEL DRAGONE: STORIA DI UN ALLENATORE DILETTANTE IN CINA

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